CAPITOLO 11
Gli altri problemi e ipotesi che nascono dalla datazione del catalogo dell’Almagesto
di A. T. Fomenko e G. V. Nosovskiy.
2. L’Almagesto e la scoperta di Halley del moto proprio delle stelle.
Oggi si ritiene che i moti propri delle stelle siano stati scoperti per la prima volta da Edmond Halley nel 1718. Nella sua Astronomia Stellare, P. G. Kulikovskiy riporta quanto segue: nel 1718 “Dopo aver confrontato le posizioni contemporanee di Arturo, Sirio e Aldebaran con le loro posizioni nel catalogo di Ipparco, E. Halley (1656-1742) scoprì le frequenze del moto proprio di queste stelle: nel corso di 1850 anni [sotto il presupposto che il catalogo di Ipparco fosse già stato datato al II secolo a.C.: 1718 + 132 = 1850 - autore], le longitudini dell'eclittica di queste stelle sono state alterate rispettivamente da uno spostamento di 60°, 45' e 6'” ([453], pagina 219). Le longitudini in questione sono state rese in un'unica epoca.
Figura 11.12a.
Ritratto di Edmund Halley dipinto da Thomas Murray (1663-1735). 1687 circa.
La nostra prima domanda può essere formulata come segue: come ha potuto Halley scoprire il moto proprio di Aldebaran? La questione è che l'intervallo di tempo in questione (presumibilmente circa 2000 anni) ha cambiato la posizione di Aldebaran di soli 6', cosa che sappiamo dalle fonti moderne. Tuttavia, il margine di precisione del catalogo di Tolomeo (basato sul catalogo di Ipparco) equivale come minimo a 10'. È inutile discutere di un effetto la cui influenza è troppo piccola da misurare con gli strumenti, per non parlare del fatto che la precisione delle misurazioni realizzate da Tolomeo e Ipparco è molto più bassa di 10'. Quindi, come ha potuto Halley scoprire il moto proprio di Aldebaran, una stella la cui posizione è stata alterata di soli 6' nel corso di 2000 anni?
Un'altra domanda è la seguente: che velocità di moto proprio attribuì Halley ad Arturo e Sirio? Il libro di P. G. Kulikovskiy riporta quanto segue: “Nel 1738 G. Cassini (1677-1756) calcolò la velocità precisa del moto proprio di Arturo, dopo aver confrontato le sue misurazioni con le osservazioni che J. Richet (? - 1696) condusse 60 anni prima” ([453], pagina 219). Pertanto, la stima di Halley sulla velocità del moto proprio di Arturo non fu “precisa”. I suoi calcoli per Sirio devono essere stati persino meno preciso, poiché la stella in questione è più lenta di Arturo.
Sarebbe opportuno menzionare che Halley non fu affatto il primo a considerare la possibilità che le stelle potessero muoversi nello spazio. Questo problema fu discusso animatamente dagli astronomi del XV-XVI secolo d.C., molto prima di Halley. Inoltre, nella cronologia di Scaligero la prima inchiesta di questo tipo venne fatta nella “profondità"antichità”, circa 2000 anni prima di Halley. A quanto pare, la domanda fu formulata nientemeno che dal “antico” Ipparco, ovvero Tycho Brahe secondo la nostra ricostruzione.
Il famoso storico e scienziato naturale romano Plinio il Vecchio (il presunto 23-79 d.C.) scrisse: “Ipparco... studiò la nuova stella che apparve nella sua epoca; la sua luminosità mobile [la stella in questione potrebbe essere stata una cometa - autore] lo portò dell'idea che potrebbero muoversi anche i corpi celesti che consideriamo immobili. Decise di intraprendere un'impresa che sarebbe stata audace persino per un dio: elencare le stelle per i posteri e contarle con l'aiuto di strumenti di sua invenzione, che gli permisero di misurare la posizione e la magnitudine delle singole stelle. In questo modo sarebbe facile capire se le stelle possono scomparire e riapparire, muoversi o diventare più luminose o più scure. Lasciò in eredità il cielo ai suoi discendenti nella speranza che un bel giorno qualcuno potesse rivendicare l'eredità” (citato da [98], p. 31).
Si ritiene che la possibilità del moto stellare sia stata discussa anche da Tolomeo. Tolomeo fece uno studio speciale su questo problema, che fu cruciale per lui, e giunse alla conclusione che le stelle erano immobili. Noi sappiamo che questa conclusione è errata.
Pertanto, non possiamo assolutamente affermare che E. Halley sia stato il primo a sollevare il problema del moto stellare.
Ma perché, al fine di individuare i moti propri, i precedenti astronomi non confrontarono le posizioni delle stelle sulla propria sfera celeste con quelle indicate nell'Almagesto? Dopo tutto, l'idea stessa di un calcolo del genere può essere ricondotta a Tolomeo, che sicuramente non era una novità per gli astronomi medievali. Quei tentativi avevano una loro logica e potrebbero anche aver prodotto dei risultati nella scoperta dei moti propri stellari; ad esempio, gli errori inerenti alle stime di Tolomeo riguardo la posizione di una stella, potrebbero essere stati facilmente confusi con i moti propri stellari. Gli astronomi di inizio XVII secolo avrebbero potuto calcolare la velocità del moto proprio di Arturo e Sirio un secolo prima di Halley, usando come riferimento il catalogo di Tycho Brahe. Si ritiene che avesse un margine di errore di 1' e di solito viene datato al 1582-1588 d.C. Dobbiamo farvi notare che il margine di errore del catalogo di Tycho Brahe che abbiamo calcolato, in realtà è pari a 2'- 3', vedi sopra. Per cui, gli astronomi del XVI-XVII secolo avrebbero potuto confrontare facilmente il catalogo di Tycho Brahe con l'Almagesto del “antico” Tolomeo, vista la correttezza della datazione di Scaligero attribuita a quest'ultimo.
Assumiamo la posizione degli astronomi del XVI-XVII secolo. È chiaro a priori che potevano solo supporre una delle due posizioni possibili e riportate di seguito sull'Almagesto di Tolomeo.
Per prima cosa supponiamo che quegli astronomi concordassero con la posizione di Scaligero e Petavio, i cronologisti del XVI-XVII secolo secondo i quali il regno dell'imperatore Antonino Pio iniziò nel 138 d.C., che è l'anno delle osservazioni indicate nell'Almagesto. In questo caso devono aver tentato di scoprire i moti propri delle stelle, usando come riferimento questo catalogo “invecchiato” di 1500-2000 anni. Arturo potrebbe essere stata una delle scelte più probabili, poiché è la stella più luminosa del cielo settentrionale. Tuttavia, la storia astronomica di Scaligero per qualche motivo non ha registrato nessun tentativo del genere nel XV-XVII secolo d.C., sebbene portò gli astronomi del XV-XVII secolo alla stessa conclusione che fu espressa da Halley nel XVIII secolo, cioè che almeno Arturo si muovesse.
Ora supponiamo che gli astronomi del XVI-XVII secolo considerassero l'Almagesto come un documento relativamente recente e risalente per esempio al XII-XVI secolo d.C. oppure, in alternativa, come un documento di cui non si conosceva la data di compilazione. In questo caso, il loro atteggiamento sarebbe stato sostanzialmente diverso. Se gli astronomi avessero creduto che il documento avesse un'origine relativamente recente, il breve periodo di tempo trascorso dalla sua creazione potrebbe essere stato considerato insufficiente perché si notassero i moti propri delle stelle. Inoltre, se il catalogo fosse stato considerato medievale, la bassa precisione della scala dell'Almagesto non sarebbe stata un segreto per gli astronomi professionisti, come la conseguente impossibilità di svolgere qualsiasi calcolo utile per le singole stelle. Non si può fare nessun calcolo per un catalogo di cui non si conosce la data di compilazione.
Ribadiamo che la storia dell'astronomia non menziona nessun tentativo da parte degli astronomi del XVI-XVII secolo per scoprire il moto proprio delle stelle con l'aiuto dell'Almagesto. Pertanto, possiamo formulare l'ipotesi che questi astronomi ritennero che l'Almagesto non fosse un documento sufficientemente vecchio e con una data precisa.
Per cui, uno studioso serio del XVI-XVII secolo d.C. che considerava l'Almagesto come un documento medievale, deve essere arrivato alla conclusione che la precisione delle coordinate dell'Almagesto era insufficiente per scoprire il moto proprio delle stelle. D'altra parte, se l'Almagesto fosse stato considerato come un documento antico del II secolo d.C., ad esempio, sarebbe assolutamente improbabile che l'idea di usarlo come riferimento per la ricerca dei moti propri delle stelle abbia aspettato Halley nel XVIII secolo, tenendo conto dell'importanza della questione per gli astronomi medievali.
Ora cerchiamo di spiegare perché nell'epoca di Halley era già possibile trarre delle conclusioni relative al moto proprio di alcune stelle come Arturo e Sirio, sebbene non si riuscisse ancora a fare delle stime precise.
A quanto pare, il primo catalogo stellare più o meno preciso venne compilato da Tycho Brahe, alias “Ipparco”. Arturo e Sirio si erano rispettivamente spostate di circa 3' e poco più di 2', nei 100-120 anni che c'erano tra Tycho Brahe e Halley. Chiunque dotato di un catalogo preciso sulle posizioni delle stelle e compilato agli inizi del XVIII secolo, avrebbe potuto già sospettare della mobilità di Arturo e Sirio, nonostante la bassa precisione del catalogo di Tycho Brahe che non consentiva alcuna stima della velocità di movimento. Infatti, è risultato che apparve un catalogo più affidabile all'inizio del XVIII secolo, quello di John Flamsteed (1646-1719) che Halley usò prima della sua pubblicazione (alcune versioni intermedie che si procurò grazie a Isaac Newton, che in quel periodo stava proprio conducendo la sua ricerca cronologica).
Pertanto, riteniamo che la conclusione di Halley sul moto proprio di Arturo, Sirio e Aldebaran sia il risultato del confronto fra il catalogo di Flamsteed e quello di Tycho Brahe.
La “velocità di moto proprio” di Aldebaran che lui indica, ha anche una spiegazione naturale. Halley stava utilizzando una versione intermedia del catalogo di Flamsteed che conteneva alcuni errori che, per esempio, influenzano anche la posizione di Aldebaran. Lo stesso Flamsteed era dell'opinione che il suo catalogo non fosse pronto per la pubblicazione. Sappiamo che Halley fece esplicitamente delle ricerche sulla posizione di Aldebaran, vedere la sua lettera ad A. Sharp scritta il 13 settembre 1718 e citata nel libro di F. Bailey ([1023]).
Ad ogni modo, perché Halley fece riferimento all'Almagesto di Tolomeo come pietra angolare della sua ricerca, e non al catalogo di Tycho Brache, per dirne uno? A quanto pare, all'epoca di Halley la datazione scaligeriana dell'Almagesto “calcolata” da Scaligero e Petavio (il presunto 138 d.C.), era già stata canonizzata. Il riferimento di Halley all'Almagesto e non al catalogo di Tycho Brahe mirava ad aggiungere un po' di credibilità alla sua scoperta: i dati dell'Almagesto hanno fatto apparire più sostanziali gli spostamenti delle posizioni stellari. Lo spostamento di Arturo calcolato con l'ausilio del catalogo di Tycho Brahe ammontava a soli 3', che è quasi nulla vista la precisione nominale di 1' (in realtà 2' - 3') rivendicata per il catalogo di Brahe. Però, se per calcolare lo spostamento di Arturo avesse usato il catalogo di Tolomeo (un catalogo che, come ci siamo resi conto, fu compilato circa nell'epoca del X-XI secolo d.C.), il valore dello spostamento sarebbe stato più apparente. Sembra che Halley abbia confrontato questo valore di spostamento con la precisione nominale di 10' dell'Almagesto, ignorando il problema della precisione effettiva delle coordinate stellari contenute nel testo.
Le precedenti considerazioni ci portano ancora una volta a pensare che nel XVI-XVII secolo l'Almagesto veniss ancora considerato come un “antico” documento, vecchio di quindici secoli. Tuttavia, all'epoca di Halley (inizio XVIII secolo) la cronologia sballata di Scaligero e Petavio era già la versione ufficiale, per cui la “sorprendente antichità” dell'Almagesto venne resa canonica.
3. L’identità del “antico” imperatore Pio, che durante il suo regno furono condotte molte osservazioni astronomiche di Tolomeo.
La sua localizzazione cronologica e geografica.
Cerchiamo di illustrare in che modo il sistema dei tre spostamenti cronologici scoperti da A. T. Fomenko in Cronologia 1, ci può aiutare nella soluzione di alcuni problemi cronologici. Ricordiamo ai lettori che l'Almagesto menziona che le osservazioni furono condotte durante il regno dell'imperatore romano Antonino Pio ([1358], pagina 328). Gli storici odierni credono che questo imperatore sia “antico” e datano il suo regno al presunto II secolo d.C. Tuttavia, i dati astronomici contenuti nell'Almagesto indicano chiaramente che il libro venne compilato e completato nel XI-XVII secolo d.C.
Non ci sono contraddizioni qui. Prendiamo in considerazione la mappa degli spostamenti cronologici riprodotta in Cronologia 1 e Cronologia 2. Lo spostamento sommario di 1053 + 333 = 1386 anni fa viaggiare in avanti nel tempo “l'antico” imperatore Antonino Pio, facendolo arrivare al XVI secolo d.C. (più precisamente, il suo regno terminò nel periodo tra il 1524 e il 1547 d.C.). Ricordiamo ai lettori che la datazione scaligeriana del suo regno è la seguente: 138 - 161 d.C. ([797], pagina 65).
È rimarchevole che “l'antico Antonino Pio” sia stato trasferito all'epoca delle prime edizioni dell'Almagesto. Le date della prima edizione latina è il 1537, quella dell'edizione greca il 1538. La “traduzione” di Giorgio di Trebisonda risale al 1528, e così via. Infatti, tutte queste pubblicazioni sembrano essere venute fuori durante il regno del “Imperatore Pio”, proprio come si dice nell'Almagesto. L'autore dell'edizione latina deve aver agito in buona fede quando fece riferimento al sovrano regnante durante l'epoca delle osservazioni.
Abbiamo l'ottima opportunità di condurre uno studio approfondito su questo problema. Data la sovrapposizione dell'Impero Romano del I-III secolo d.C. sull'Impero Romano del X-XIII secolo d.C. e sull'Impero degli Asburgo del XIV-XVII secolo, possiamo tentare di chiamare un imperatore asburgico con il nome Pio. L'epoca che precede immediatamente le prime edizioni dell'Almagesto, ovvero l'inizio del XVI secolo, è “coperta” dal regno del famoso imperatore Massimiliano I (1493-1519). Se la pubblicazione del libro avesse avuto luogo subito dopo la sua creazione, tutte le osservazioni astronomiche in questione sarebbero avvenute durante il suo regno. Il nome completo dell'imperatore contiene la seguente formula: Maximilian Kaiser Pius Augustus (vedere l'incisione di Albrecht Dürer nella Figura 11.13). Una versione leggermente diversa della stessa incisione di Dürer è stata riprodotta in [304], Volume 2, pagina 561. Vedere anche Cronologia 1, Capitolo 6.
Figura 11.13.
Un ritratto di Massimiliano Augusto Pio (1440-1519) realizzato da Albrecht Dürer. La maggior parte delle osservazioni astronomiche incluse nell'Almagesto sono state eseguite durante il suo regno. Il suo riflesso fantasma è l'imperatore “antico” Antonino Pio. Tratto da [1234], incisione nr. 318.
Per cui, siamo portati a pensare che molte osservazioni astronomiche di Tolomeo siano state effettuate nel regno dell'imperatore asburgico Massimiliano Pio Augusto alla fine del XIV inizio XV secolo.
4. Le datazioni di Scaligero dei manoscritti e delle edizioni stampate dell’Almagesto.
Confrontiamo la datazione del catalogo stellare dell'Almagesto a cui siamo arrivati (VII-XIII secolo d.C.) con le datazioni di Scaligero dei manoscritti sopravvissuti dell’opera. Riportiamo anche le date di Scaligero delle prime edizioni stampate dell'Almagesto.
Come riferimento abbiamo usato l'opera di Peters e Knobel ([1339]) che contiene un elenco completo di tutti i più antichi manoscritti greci, latini e arabi dell'Almagesto: abbiamo costruito un diagramma cronologico, vedere la Figura 11.14, quindi abbiamo indicato le date di Scaligero per tutti questi testi sull'asse temporale orizzontale. A parte questo, il diagramma riflette l'intervallo della datazione astronomica del catalogo dell'Almagesto che abbiamo calcolato.
Nella Figura 11.15 riportiamo anche i periodi di vita datati da Scaligero di alcuni personaggi medievali associati all'astronomia, i reperti degli antichi manoscritti e l'istituzione del sistema cronologico consensuale.
Figura 11.14.
La distribuzione sull’asse del tempo delle datazioni di Scaligero dei manoscritti dell’Almagesto.
Compilata in conformità con i materiali presa da [1339].
4.1. I manoscritti greci dell’Almagesto.
- Codice di Parigi 2380. Questo manoscritto (come il testo nr. 19, vedi sotto) è considerato il più antico ([1339], pagina 19). Si presume che sia stato inizialmente conservato a Firenze, per poi essere stato portato a Parigi da Caterina de' Medici. Dopo la sua morte finì in biblioteca (l'odierna Biblioteca Nazionale). Reca il sigillo d'oro di Enrico IV, che presumibilmente regnò nel 1053-1106 d.C. Non c'è un'opinione unanime sulla datazione di questa copia dell'Almagesto, vedi sotto. In particolare dobbiamo sottolineare le seguenti circostanze di carattere generale. La datazione dei manoscritti dell'Almagesto vengono spesso complicate dal fatto che raramente contengono dei riferimenti cronologici. In questo caso, il sigillo di Enrico IV può essere considerato come tale. Per cui, ora siamo giunti al problema di stimare le date del regno di Enrico IV. La storia di Scaligero a questo sovrano attribuisce le date del 1053-1106 d.C. Questo è il motivo per cui la più antica copia manoscritta dell'Almagesto viene datata al XI o all'inizio del XII secolo d.C. Tuttavia, dato il parallelismo dinastico tra il Sacro Romano Impero del X-XIII secolo e l'Impero degli Asburgo del XIV-XVII secolo scoperto da A. T. Fomenko e descritto in Cronologia 1 e Cronologia 2, sarebbe più appropriato datare questo manoscritto dell'Almagesto all'epoca del XV-XVI secolo, poiché “Enrico IV” non è che un riflesso fantasma di Federico III (1440-1493). In questo caso, lo spostamento cronologico in avanti nel tempo corrisponde all'incirca a 360 anni.
- Codice di Parigi 2390. Risale approssimativamente al presunto XII secolo d.C.
- Codice di Parigi 2391. Risale approssimativamente al presunto XV secolo d.C.
- Codice di Parigi 2392. Risale approssimativamente al presunto XV secolo d.C. Il testo è incompleto. Si tratta di una copia molto povera.
- Codice di Parigi 2394. Questa copia è stata fatta nel 1733.
- Codice di Vienna 14. Risale approssimativamente al presunto XVI secolo d.C.
- Codice di Venezia 302. Risale circa al presunto XV secolo d.C.
- Codice di Venezia 303. Risale circa al presunto XIV secolo d.C.
- Codice di Venezia 310. Risale circa al presunto XIV secolo d.C.
- Codice di Venezia 311. Il catalogo di Zanetti lo data approssimativamente al XII secolo d.C. Tuttavia, Peters è del parere che la datazione debba essere sostituita da una sostanzialmente più recente. Secondo Morelli, questo manoscritto è una copia successiva del Codice di Venezia 313, che viene approssimativamente datato al presunto X o XI secolo d.C., o persino a una copia del Codice di Venezia 303, datata intorno al presunto XIV secolo d.C. ([1339]). Ancora una volta, questo esempio dimostra l'ambiguità delle datazioni dei manoscritti da parte di Scaligero. Dopo aver riassunto tutte le opinioni di cui sopra, siamo giunti al seguente intervallo delle datazioni di Scaligero: il presunto XII e XIV secolo d.C.
- Codice di Venezia 312. Come data approssimativa Zanetti suggerisce il XII secolo, mentre Morelli il XIII secolo.
- Codice di Venezia 313. La datazione approssimativa di Zanetti è il X secolo d.C., mentre Morelli suggerisce l'XI secolo.
- Codice Laurenziano. Pluteo 28, 1. Il presunto XIII secolo d.C. circa.
- Codice Laurenziano. Pluteo 28, 39. Approssimativamente il presunto XI secolo d.C. Tuttavia, contiene solo i libri VII e VIII.
- Codice Laurenziano. Pluteo 28, 47. Il presunto XIV secolo d.C. circa.
- Codice Laurenziano. Pluteo 89, 48. Il presunto XI secolo d.C. circa. Si tratta di un ottimo manoscritto; tuttavia, ha molto in comune con il Codice di Venezia 310, che viene datato al presunto XIV secolo d.C.
- Codice Vaticano 1038. Approssimativamente il presunto XII secolo d.C.
- Codice Vaticano 1046. Approssimativamente il presunto XVI secolo d.C.
- Codice Vaticano 1594. Datato al presunto IX secolo d.C. Questo è il miglior manoscritto greco dell'Almagesto. Sfortunatamente, [1339] non menziona il motivo di questa particolare datazione. Comunque, viene sottolineato che il manoscritto in questione ha delle caratteristiche comuni con il Codice di Venezia 313, “che testimonia di condividere un background comune” ([1339], pagina 21). Tuttavia, il manoscritto del Codice di Venezia 313 è stato datato al X o XI secolo d.C., vedi sopra.
- Codice Vaticano, Req. 90. Secondo Peters e Knobel, “questo codice probabilmente non è molto vecchio” ([1339], pagina 21). Tuttavia, per qualche ragione non sono riusciti a fornire una datazione, motivo per cui non possiamo metterlo sulla nostra mappa cronologica.
- Codice Bodley 3374. Si presume che sia anteriore al XIV secolo d.C. Copia perfetta, ben scritta e senza varianti.
- Codice di Vienna 24 (Trebisonda). Un eccellente codice con il titolo di “Magnae compositionis Claudii Ptolemae i libri a Georgio Trapezuntio traducti”. Si ritiene che sia la traduzione in latino di un manoscritto greco. La traduzione di Trebisonda è stata usata per l'edizione dell'Almagesto che risale al presunto 1528. Alla fine del codice possiamo vedere la frase “Finis 17 Marcii, 1467”, che significa “finito il 17 Marzo 1467”.
- Codice Laurenziano 6. Datato all'intervallo tra il presunto 1471 e il 1484 d.C. Si ritiene che sia una traduzione dal greco. La scrittura è meticolosa e chiara.
- Codice Laurenziano 45. Datato approssimativamente il presunto XIV secolo d.C. Si tratta di un documento scritto finemente che contiene molte varianti. Questo manoscritto si ritiene che sia la copia di una traduzione dall'arabo, proprio come i prossimi tre.
- Il Codice del British Museum. Burney 275. Datato il presunto XIV secolo d.C. Si ritiene che sia una traduzione dall'arabo. Si tratta di un'eccellente copia dell'Almagesto, scritta finemente.
- Il Codice del British Museum. Sloane 2795. Si ritiene che sia una traduzione dall'arabo. E' stato datato approssimativamente il 1300 d.C. da Thompson; è improbabile che sia antecedente il 1272 d.C. E' scritto abbastanza bene, ma con numerosi errori.
- Codice Crawford. Datato approssimativamente il presunto XV secolo d.C. Si tratta di un eccellente manoscritto (presumibilmente tradotto dall'arabo).
- New College, Oxford n. 281. Copia piuttosto imperfetta della traduzione fatta da Gerardo di Cremona, che consente di risalire ai primi anni del XIV secolo d.C.
- All Souls College, Oxford n. 95. Un'altra traduzione di Gerardo di Cremona; tuttavia, sono stati omessi alcuni libri. E' improbabile che sia antecedente il presunto XIV secolo d.C.
- Codice Laurenziano 156. Documento scritto a mano molto meticolosamente. Si ritiene che sia una copia della traduzione realizzato da Al-Mamon intorno al presunto 827 d.C.
- British Museum 7475. Questa copia dell'Almagesto è incompleta. È datata l'anno 615 dell'Egira, che produce il presunto 1218 d.C. secondo la conversione consensuale delle datazioni Anno Domini della Hijrah (Hejira, Egira, ecc.). Molte longitudini e le latitudini sono in contrasto con quelle di altri manoscritti (!).
- L’Almagesto in arabo della Biblioteca Bodleiana, Pocock 369. Viene datato l'anno 799 dell'Egira, ossia il presunto 1396 d.C. Copia ben scritta.
- Manoscritto arabo del British Museum, Reg. 16, A. VIII. Fine manoscritto datato approssimativamente il presunto XV o XVI secolo d.C.
- Epytoma in Almagesti Ptolemaei di Ioannis Regiomontano e Georg Purbach. Venezia, il presunto 1496 (?).
- Almagestu Cl. Ptolemaei Phelusiensis Alexandrini. Anno Virginei Partus 1515 ([544], volume 4,pagine 195-196). Questa edizione latina è stata pubblicata da Liechtenstein a Venezia nel 1515. Bailey ([1024]) crede che sia stata tradotta dall'arabo, a differenza dell'edizione del 1537 che considera essere una traduzione dal greco. Secondo Bailey, l'edizione che risale al presunto 1515 è eccezionalmente rara. Laland notò che di questo libro ce n’è un'unica copia conservata dalla Royal Astronomical Society di Londra. N. A. Morozov riporta che faceva anche parte del collezione dell'Osservatorio Pulkovo.
- Claudii Ptolemaei I Phelusiensis Alexandrini. Anno Salutis, il presunto 1528, Venezia, tradotto da Giorgio di Trebisonda. Una copia è conservata negli archivi dell'Osservatorio Pulkovo. Abbiamo studiato il catalogo stellare di questa edizione insieme al catalogo citato da Peters e Knobel in [1339]. I risultati che abbiamo ottenuto dall'edizione del 1528 coincidono con i risultati della nostra analisi del catalogo contenuta in [1339].
- L'edizione latina che presumibilmente risale al 1537: Cl. Tolomeo i. Phelusiensis Alexandrini philosophi et matematici excellentissimi Phaenomena, stellarum MXII. Fixarum ad hancae tatem reducta, atque seorsum in studiosorum gratiam.
- L'edizione greca del presunto anno 1538: Κλ Πτολεμα ου Mεγάλης Σύνταξεως Bίβλ. ΙΓ. Θεώνος Άλεξανδρεώς εϊς τά αϋτά ύπομνηατών Bίβλ. ΙA. (Claudii Ptolemaei Magnae Constructionis, id est perfectae coelestium motuum pertractationis Lib. XIII. Theonis Alexandrini in eosdem Commentariorum Libri XI. Basileae [Basilea - Autore] Apud Ioannem Walderum An. 1538. C. puv. Caes.Ad Quinquennium.).
- La seconda traduzione in latino dell'edizione risalente al presunto 1542 ([544], Volume 4, pagine 195-196).
- La terza traduzione in latino dell'edizione risalente al presunto 1551 ([544], volume 4, pagine 195-196).
- Claudii Ptolemaei inerrantium stellarum Apparitiones, et significationum collectio. Federico Bonaventura interprete. Urbini 1592.
Figura 11.15.
Il grafico della densità di distribuzione della cronaca di datazione dell'Almagesto. Compilato secondo i materiali di [1339].
Sono stati inoltre indicati ulteriori dati cronologici relativi all'Almagesto.
Ai nostri giorni la datazione dei manoscritti viene occasionalmente eseguita con l'ausilio della paleografia, ovvero il “metodo” basato sulle particolarità grafiche di come vengono trascritte alcune lettere. Si presume che ogni secolo possa essere caratterizzato da un determinato modo unico di scrivere le lettere. Ci asteniamo da un'ulteriore analisi approfondita di questo metodo di datazione; ci limitiamo semplicemente a sottolineare il fatto che è molto vago e arbitrario. Inoltre, questo “metodo” dipende interamente dalla cronologia di Scaligero che è stata utilizzata a priori. Queste “considerazioni paleografiche” hanno portato Halma a insinuare che il manoscritto dell'Almagesto sia stato datato al VII o VIII secolo d.C. Tuttavia, la storia consensuale di Scaligero è d'accordo a datare il manoscritto in questione al IX secolo, persino sulla base delle “considerazioni paleografiche”. Questa datazione è stata discussa in [1339], pagina 19. Segniamo entrambe le date nel nostro diagramma: il IX secolo d.C. secondo l'ipotesi paleografica e il XI-XII secolo d.C. (a giudicare dal sigillo di Enrico IV).
Ribadiamo che la nostra ricostruzione implica che la datazione corretta sia pertinente all'epoca del XV-XVI secolo.
Mentre procediamo con le descrizioni degli altri manoscritti, ci sentiamo in dovere di affermare che purtroppo [1339] nella maggior parte dei casi non riesce a discutere i principi della datazione dei manoscritti di un secolo o di un altro. La maggior parte delle informazioni che riguardano effettivamente la datazione, ancora una volta è di natura paleografica. Perciò, per la maggior parte indicheremo formalmente la presunta datazione del manoscritto in questione, accettata come consensuale nella storia di Scaligero. La maggior parte delle datazioni scaligeriane in [1339] sono accompagnate dalla parola “approssimativa”, che rivela ancora una volta la grande complessità del problema.
4.2. I manoscritti latini dell’Almagesto.
4.3. I manoscritti arabi dell’Almagesto.
Nel nostro diagramma cronologico abbiamo descritto le datazioni di Scaligero per tutti i manoscritti dell'Almagesto menzionati sopra, con degli intervalli bianchi (vedi la Figura 11.14),che corrispondono ai limiti temporali di una certa datazione possibile del manoscritto. Ad esempio, l'intervallo che inizia nel 1272 e termina nel 1300 corrisponde all'intervallo delle datazioni possibili per il Manoscritto 26. Se solo conoscessimo il presunto secolo a cui è ascritta la datazione in questione, il corrispondente intervallo bianco sul nostro diagramma coprirebbe l'intero secolo in questione.
Elenchiamo ora le prime edizioni stampate dell'Almagesto. Per evitare di confondere nel diagramma le loro datazioni con quelle dei manoscritti, le abbiamo contrassegnate con dei punti neri accompagnati dai numeri del nostro elenco.
4.4. Le prime edizioni stampate dell’Almagesto.
Citiamo alcuni dati riguardanti le prime edizioni dell'Almagesto che N. A. Morozov raccolse dall'archivio dei libri dell'Osservatorio Pulkovo ([544], volume 4).
Ecco cosa disse Morozov su questa edizione: “Per esempio, se le mie fonti sono giuste c'è un libro stampato da Ioannis Regiomontano e Georg Purbach dal titolo Breve Versione dell'Almagesto di Claudio Tolomeo, che porta la targa “Venezia, 1496” ([544], Volume 4, pagine 218-219). Secondo le informazioni a disposizione degli autori del presente libro, questa edizione contiene solo il testo dell'Almagesto e nessuna tavola, il che significa che non include il catalogo stellare. Vedere anche [544], Volume 4, pagine 195-196.
Le due edizioni più famose dell'Almagesto sono le seguenti: l'edizione di Colonia del presunto 1537 (in latino) e l'edizione di Basilea del presunto 1538 (in greco).
Nunc primum edita, interprete Georgio Trapezuntio.
Adiecta est isagoge Ioannis Noviomagi ad stellarum inerrantium longitudines ac latitudines, cuietiam accessere Imagines sphaerae barbaricae duodequinquaginta Alberti Dureri. Excusum Coloniae Agrippinae [identificata presumibilmente con la città odierna di Colonia - autore], Anno M. D. XXXVII, octavo Calendas Septembres.
Segniamo ora sul nostro diagramma cronologico (Figura 11.15) l'intervallo tra il 600 e il 1300 d.C., ovvero la datazione astronomica del catalogo stellare dell'Almagesto conforme ai nostri risultati. Appare molto evidente che l'intervallo in questione concorda bene con la somma totale delle datazioni dei manoscritti sopravvissuti dell'Almagesto e le prime edizioni stampate dell'opera in questione. La moltitudine dei manoscritti, soprattutto dal XIV secolo in poi, potrebbe indicare che l'Almagesto fu creato durante quest'epoca e che iniziò immediatamente a propagarsi come un'importante opera scientifica ed essere considerato come un vero testo scientifico, non un retaggio di storia dell'astronomia. Si trattava di una raccolta dei metodi applicabili alla soluzione dei problemi di astronomia, navigazione e affini. La concordanza tra la nostra datazione astronomica e le informazioni indipendenti riguardanti la distribuzione dei manoscritti superstiti dell'Almagesto, per noi sembra essere la cosa più lontana a una coincidenza.
Praticamente è venuto fuori che l'Almagesto non si è comportato come un peso morto, in tutti quei secoli che si presume siano passati tra l'inizio della nuova era e l'epoca rinascimentale. Al contrario, la sua creazione fu subito seguita dalla sua introduzione nel circuito scientifico. C'erano molte copie e molti commentari; finalmente, nel XVI-XVII secolo d.C. uscirono le prime edizioni stampate su larga scala. Facciamo notare che dopo l'invenzione della macchina da stampa, i libri scritti a mano non sono mai diventati anacronistici (vedere Cronologia 1, Capitolo 1: 12 per maggiori dettagli). Gli scribi e i copisti continuarono a produrre manoscritti per molti anni a seguire: a volte copiavano persino le edizioni stampate. E' molto facile da spiegare: all'inizio, le copie scritte a mano dei manoscritti erano più economiche da produrre che le versioni stampate. La produzione delle copie scritte a mano ebbe una battuta d'arresto solo quando i prezzi dei libri stampati divennero sufficientemente bassi. È quindi possibile che alcuni manoscritti dell'Almagesto che oggi si considerano molto antichi (in altre parole antecedenti all'epoca della stampa e quindi presumibilmente creati tra il X e la metà del XV secolo d.C.) potrebbe essere stati scritti nel XVII-XVIII secolo d.C.
A questo punto sarebbe opportuno citare un certo numero di fatti noti che dimostrano chiaramente che i libri scritti a mano sopravvissero a lungo alle prime edizioni stampate. Vedere [740] pagine 19-25, per maggiori dettagli.
La biblioteca di John Dee, un matematico e astrologo inglese del XVI secolo, conteneva 3000 libri scritti a mano (per un totale di 4000 copie in totale, vedere in [740], pagina 56). Vale a dire che la maggior parte dei libri della collezione di Dee erano scritti a mano.
Gli scribi dei monasteri greci si guadagnarono una fama speciale già nell'epoca della stampa. Un dettaglio importante è che molte di queste copie vennero realizzate dai libri stampati ([740], pagina 120).
4.5. Le questioni concernenti le datazioni di Scaligero dei manoscritti dell’Almagesto.
Torniamo alla descrizione delle tabelle nelle Figure 11.14 e 11.15. La Figura 11.15 contiene le rappresentazioni grafiche dei dati ausiliari utili per la ricostruzione della cronologia corretta dell'Almagesto.
Johannes Müller (Regiomontano), il presunto 1436-1476.
Copernico, il presunto 1473-1543. Il suo libro Sulle rivoluzioni delle sfere celesti fu pubblicato nel presunto 1543, in quanto era l'erede immediato della tradizione scientifica dell'Almagesto, le cui copie scritte a mano e stampate ai tempi di Copernico divennero abbondanti.
Tycho Brahe (1546-1601).
Purbach (Peuerbach), il presunto 1423-1461.
Albrecht Dürer, l'autore delle carte stellari incluse nelle prime edizioni dell'Almagesto: il presunto 1471-1528.
Ulugbek, il presunto 1394-1449.
Keplero, 1571-1630.
Galileo, 1564-1642.
Edmond Halley, 1656-1742. Si ritiene che abbia scoperto i moti propri delle stelle nel 1718.
Johannes Hevelius, 1611-1687.
L'imperatore romano Massimiliano I Pio Augusto,1493-1519. Il suo ritratto è stato raffigurato nella Figura 11.13. Vogliamo ricordare ai lettori che secondo la versione di Scaligero, l'Almagesto di Tolomeo fu scritto durante il regno del “antico” imperatore romano Antonino Pio Augusto (il presunto 138-161 d.C.).
Giuseppe Scaligero, l'ideatore della cronologia consensuale dell'antichità, 1540-1609. La sua opera fondamentale sulla cronologia fu pubblicata nel 1583 ([1387]).
Dionigi Petavio, seguace di Scaligero, un altro autore dell'odierna versione dell'antica cronologia (1583-1652). Le sue opere sulla cronologia le potete trovare in [1337] e [1338].
Johannes Gutenberg, l'inventore della macchina da stampa (il presunto 1445 d.C. circa).
Concludiamo tornando al problema delle datazioni dei manoscritti dell'Almagesto. Vi abbiamo già fatto notare che la loro datazione scaligeriana si basa per la maggior parte sulla paleografia. Anche se ignorassimo la vaghezza generale di questo metodo, questo potrebbe essere stato compromesso dal fatto che la fabbricazione delle copie dei libri scritte a mano proseguì anche nell'epoca della stampa (XV-XVIII secolo). È persino possibile che alcuni mecenati del XVII-XIX secolo potrebbero aver ordinato nello specifico la fabbricazione di manoscritti che sembravano “antichi” dal punto di vista della grafia, delle illustrazioni, ecc. In questo senso sarebbe estremamente utile la revisione dei dati attribuiti ai manoscritti sopravvissuti dell'Almagesto. Nel corso di questo lavoro dovrebbero essere affrontate le seguenti questioni.
- La posizione del manoscritto (archivio, museo, collezione privata ecc.).
- La storia della scoperta del manoscritto, l'anno a cui può risalire, l'identità dello scopritore e le circostanze del ritrovamento (così come la disponibilità di documenti descrittivi).
- La datazione del manoscritto. L'identità della parte responsabile della prima datazione e le sue motivazioni. La datazione in questione è unica e inequivocabile? Esistono altre versioni? In termini matematici, quante soluzioni ha il problema della datazione di un determinato manoscritto?
- Dato che l'autore afferma di aver scritto il libro durante il regno del “imperatore Pio”, sarebbe opportuno conoscere l'esatta identità di questo personaggio. È probabile che possa essere identificato con il famoso Massimiliano Pio Augusto, l'imperatore romano del XV-XVI secolo d.C.?
- Bisogna anche tenere presente che i nomi molto antichi possono essere tradotti. Pio, ad esempio, sta per “Pietoso” ([237], pagina 773), il che vuol dire che il testo in questione fu scritto sotto il regno di un imperatore famoso per la sua pietà. È ovvio che gli scribi potevano dare dei nomignoli a moltissimi governanti di paesi diversi. La mancanza di una soluzione univoca porta alla scelta di una datazione perfettamente arbitraria.
- A volte ci imbattiamo nelle seguenti considerazioni: “Il tal e talaltro astronomo parla di Tolomeo; ergo, Tolomeo visse prima del tal e talaltro astronomo”. Questa affermazione è molto controversa. Prima di tutto, dobbiamo scoprire a quale Tolomeo l'astronomo in questione fa riferimento. A parte questo, anche il nome “Tolomeo” può essere tradotto, il che ci fornisce ancora di più opzioni per identificare questo personaggio come una vera figura storica e più epoche per datare il suo periodo di vita.
- Un'altra affermazione che si sente spesso è la seguente: “Il tal e talaltro astronomo dice di aver letto l'Almagesto di Tolomeo; pertanto, l'Almagesto fu scritto prima dell'epoca di questo astronomo”.
Anche questa conclusione è ambigua. Avrebbe senso indagare sulla versione esatta dell'Almagesto a cui si riferiva l'ipotetico astronomo. Come si può provare che il testo in questione era lo stesso che conosciamo oggi con il nome di Almagesto? Dopotutto, è molto probabile che l'originale antico fu pesantemente modificato all'inizio del XVII secolo e che l'opera che oggi conosciamo come “Almagesto” differisce molto da quella letta dall'astronomo in questione nel XV secolo, per esempio.
Un'altra domanda che si potrebbe porre è la seguente: quando visse veramente questo ipotetico astronomo? Potrebbe essere stato il XVI-XVII secolo o il XV?
Non si deve considerare nessuno dei punti sopracitati come un cavillo estraneo: al contrario, l'unico modo di fornire delle datazioni con un fondamento più o meno affidabile è quello di rispondere a ciascuna di quelle domande. Altrimenti, ogni data si limiterà a riflettere l'opinione soggettiva di un solo ricercatore. In linea generale, sarebbe opportuno individuare la fonte originale di ogni datazione di Scaligero e fornire la “tabella delle date scaligeriane” con commenti del tipo “l'evento in questione è avvenuto nell'anno X... secondo il tal cronista medievale”. Dando un nome all'autore di ogni data “antica” e in ogni circostanza, potremo finalmente ricostruire le fonti originali a cui fa affidamento la versione di Scaligero e mettere a disposizione le date per la verifica oggettiva.
5. Quindi, che cos’è l’Almagesto?
Va detto che il termine “l'Almagesto di Tolomeo” viene usato per riferirsi a una serie di manoscritti ed edizioni stampate, alcune delle quali differiscono sostanzialmente tra loro.
Ad esempio, alcune versioni non hanno il catalogo stellare o alcune altre parti dell'Almagesto (ci sono molti esempi di tali discrepanze in [1339]).
L'opinione consensuale degli scienziati contemporanei è che tutte queste versioni scritte a mano e stampate possono essere riconducibili a un “originale antico” comune che “ovviamente andò perso molto tempo fa”.
Tuttavia, le discrepanze tra le diverse versioni (scritte a mano e stampate) vanno ben oltre i normali “errori degli scribi”.
Il testo e la composizione del libro possono anche differire notevolmente da una versione all'altra.
In precedenza abbiamo discusso a lungo di questi casi: ci sono delle differenze sostanziali tra le edizioni del 1537 e del 1538. Le longitudini di tutte le stelle del catalogo differiscono nientemeno che di 20 gradi.
Si ha l'impressione che “l'Almagesto di Tolomeo” fosse il marchio di fabbrica di tutte le opere pubblicate da un’intera scuola degli astronomi medievali. La nostra idea è che la versione dell'Almagesto che ci è pervenuta non sia l'opera originale di un solo autore a cui si devono anche attribuire tutte le osservazioni, ma piuttosto un “manuale di astronomia medievale” collettivo, contenente la revisione dei risultati ottenuti dallo studio di un'importante scuola medievale di astronomia.
Gli autori e gli editori dell'Almagesto raccolsero una pletora di risultati derivanti da singole osservazioni, così come teorie, calcoli ed “esercizi cronologici”. Fecero tutto questo con il contributo di diversi astronomi che avrebbero potuto essere separati cronologicamente anche per decenni l'uno dall'altro. In particolare, il catalogo stellare dell'Almagesto avrebbe potuto essere stato compilato da un solo osservatore nell'epoca del X-XIII secolo, mentre il testo finale dell'Almagesto fu scritto e arrangiato da altre persone nel XVI-XVII secolo.
6. Le stranezze nello sviluppo della scienza astronomica descritte nel “libro di testo di Scaligero”.
6.1. La fioritura della cosiddetta “astronomia antica”.
Secondo la storia dell'astronomia nella versione di Scaligero, molte delle grandi scoperte astronomiche furono realizzate dagli “antichi”. Cerchiamo di citarne brevemente alcune. Si presume che qualche testo di navigazione astronomica esistesse già presso la “antica” Grecia e che fu compilato all'inizio del presunto VI secolo a.C., molto probabilmente da Talete di Mileto che visse nel presunto 624-547 a.C. ([395], pagina 13). Già nel presunto IV secolo a.C., Teofrasto di Atene, un antico filosofo e scienziato greco, osservò le macchie solari ([395],pagina 14). Metone, nato intorno al presunto 460 a.C., scoprì che 19 anni equivalgono esattamente a 235 mesi lunari. Infatti, la discrepanza è effettivamente inferiore a 24 ore. Quasi un secolo dopo, Calippo introdusse una correzione minore nella formula di Metone ([65], pagine 34-35).
“C'è una grande carenza di informazioni definitive a proposito della vita di Pitagora. Nacque all'inizio del VI secolo a.C. e morì alla fine dello stesso secolo o all'inizio del successivo” ([65], pagina 36). Pitagora sosteneva che la Terra, come pure gli altri corpi celesti, avessero la forma di una sfera e fluttuassero tra gli altri luminari senza alcun supporto. “I filosofi greci rimasero convinti della forma sferica della Terra sin dai tempi di Pitagora” ([65], pagine 36-37).
Una cosmologia dettagliata e basata sui concetti di Pitagora, fu ideata da Filolao che visse nel presunto 470-399 a.C. Riteneva che il centro del mondo non fosse fatto di terra, ma che si trattasse piuttosto di una sorta di fuoco centrale e che la Terra, la Luna, il Sole, i pianeti e la sfera celeste ruotassero intorno ad esso. Diceva anche che la Terra ruotava intorno al proprio asse in modo tale che nessun osservatore potesse mai vedere il fuoco centrale ([395], pagina 23). “Filolao sosteneva che le distanze tra il fuoco centrale e i vari corpi celesti crescevano in progressione geometrica: il luminare successivo era situato a tre volte la distanza tra esso e il luminare precedente. Sostenendo che la distanza era doppia e non tripla, anticipò la legge di Titius-Bode per più di duemila anni” ([395], pagina 31).
Già nel presunto VI secolo a.C. il pitagorico Iceta di Siracusa espresse l'idea che la Terra, situata al centro del mondo, compiva una rivoluzione completa attorno al suo asse centrale nel corso di una giornata. Il filosofo Eraclide Pontico, che visse nel presunto 390-310 a.C., affermava che i pianeti Venere e Mercurio ruotavano attorno al Sole e persino intorno alla Terra ([395], pagina 24). “Alcuni autori successivi fecero i nomi di altri tre pitagorici che credevano nel moto della Terra, vale a dire Iceta, Eraclito ed Ecfanto, che visse tra la fine del VI e il V secolo avanti Cristo.” ([65], pagina 38).
Democrito, che si crede sia vissuto nel presunto 460-370 a.C., affermava che l'Universo era formato da una varietà infinita di mondi nati da una collisione di atomi. Tutti questi mondi avevano delle dimensioni diverse: alcuni non avevano la Luna e il Sole, altri sfoggiavano luminari di dimensioni enormi e altri ancora avevano un numero diverso di luminari. Certi mondi non avevano l'acqua, gli animali o le piante. Alcuni mondi erano appena nati, altri si trovavano nel loro periodo migliore e taluni erano ancora nella fase della distruzione. “Democrito fece una serie di ipotesi sorprendenti che furono confermate secoli dopo. In particolare, affermava che la dimensione del Sole era per diversi ordini maggiore di quella della Terra, che la Luna splendeva di luce solare riflessa e che la Via Lattea era un agglomerato di moltissime stelle” ([395], pagina 25). La Figura 11.15a mostra una vecchia immagine di Eraclito e Democrito. Tra loro c'è un globo che sembra sospeso nello spazio. Il globo raffigura in modo abbastanza corretto i continenti, gli oceani e i mari. Tutti gli indumenti sono tipicamente medievali e sul tavolo ci sono dei libri rilegati ...
Figura 11.15a.
“Eraclito e Democrito”. Bramante (Donato di Angelo di Pascuccio) il presunto 1444-1514. Affresco trasferito su tela. Lo scienziato “antico” Democrito indica il mondo sotto forma di globo, che raffigura in modo abbastanza accurato i contorni dei continenti. Tratto da [463: 1], p.113, ill. 98.
Platone, il cui periodo di vita viene fatto risalire al presunto 428-347 a.C., non scrisse opere di natura puramente astronomica. In particolare, era dell'opinione che il centro dell'Universo non fosse la Terra, ma piuttosto un corpo più perfetto ([65], pagina 38). Nello specifico, Platone descrive i corpi celesti a seconda della loro lontananza. Credeva che il loro ordine fosse il seguente: la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e le stelle.
Eudosso, l'apprendista di Platone che visse nel presunto 408-355 a.C., “collocò” la Terra immobile al centro dell'universo. Ovviamente, la Terra era considerata sferica. Inoltre, sosteneva che il moto di ogni pianeta era regolato da diverse sfere concentriche ([395], pagina 27). Di conseguenza, fu costruita una teoria complessa riguardo queste sfere; in particolare, Eudosso mirava a spiegare le declinazioni planetarie dall'eclittica e il loro moto retrogrado. Riuscì a spiegare l'intero moto planetario visibile, causato dalla rotazione di 27 sfere.
Aristotele, che visse nel presunto 384-322 a.C., affermava che “i pianeti erano più lontani dalla Terra rispetto al Sole e alla Luna, e che la distanza tra la Terra e la sfera celeste era come minimo nove volte maggiore della distanza tra la Terra e il Sole” ([395], pagina 30). “Aristotele considerava molto seriamente il problema della forma tellurica e lunare, per cui cercò di trattarlo da ogni angolazione possibile. Usò l'argomentazione di cui sopra (riguardante le fasi della Luna, la forma dell'ombra della Terra, ecc.) per provare che la Terra e la Luna erano sferiche” ([395], pagina 30). Aristotele aveva familiarità con le teorie degli altri scienziati in cui si diceva che Terra ruotava attorno al Sole accompagnata dagli altri pianeti, in contrasto con quelle che sostenevano che la Terra fosse immobile e che fosse il Sole a girarle attorno. Tuttavia, giunse alla seguente contro-argomentazione. Se la Terra fosse davvero mobile, il suo movimento causerebbe dei cambiamenti regolari nelle distanze angolari tra due coppie di stelle scelte arbitrariamente, mai state osservate da qualsiasi astronomo a lui noto ([395], pagina 30). Questa considerazione è perfettamente valida, poiché è associata con il vero effetto del moto della parallasse stellare. Gli antichi astronomi non avrebbero potuto osservarlo a causa delle velocità di spostamento estremamente basse. “Il moto annuale della parallasse stellare fu scoperto 2150 anni dopo Aristotele” ([395], pagina 30).
Gli astronomi della scuola di Alessandria menzionati più di frequente sono Aristarco di Samo, Aristillo e Timocaride, quasi tutti contemporanei della prima metà del presunto III secolo avanti Cristo. ([65], pagina 44).
E' venuto fuori che “gli antichi” avevano “un loro Copernico” ([127]). Questa parte fu interpretata da Aristarco di Samo, che si presume sia vissuto nel 310-250 a.C. Rimase colpito dall'essersi reso conto che alcune misurazioni e calcoli rendevano possibile stimare le distanze tra gli oggetti del sistema Sole - Terra - Luna. Questa teoria fu implementata nella sua opera Dimensioni e Distanze del Sole e della Luna. I suoi postulati fondamentali sono i seguenti.
- La Luna prende la sua luce dal Sole.
- Il Sole è il punto centrale in relazione alla sfera lunare.
- Quando vediamo la Luna divisa in due, il cerchio più grande che separa la metà luminosa dalla metà oscura, si riferisce al piano che comprende la nostra linea visiva.
- Quando vediamo la Luna divisa in due, la sua distanza dal Sole è inferiore a un quarto della circonferenza a cui viene sottratta la trentesima parte di questa circonferenza.
- La larghezza dell'ombra terreste copre due lune.
- La Luna occupa la quindicesima parte di un determinato segno zodiacale.
A quanto pare, “l'opera in questione è stata il primo lavoro nella storia dell'astronomia che ha stimato le distanze tra i vari corpi celesti come conseguenze dell'osservazione. Tuttavia, i risultati effettivi di questi calcoli lasciano molto a desiderare in termini di precisione” ([395], pagina 33). Eppure, “a quanto pare questi calcoli alla fine lo portarono alla conclusione che il Sole, essendo un grande corpo celeste, si trovasse al centro del mondo, con la Terra e gli altri pianeti che gli ruotavano attorno” ([395], pagina 33).
Questo è ciò che scrisse Archimede, il quale visse nel presunto 287-212 a.C., sulla cosmologia eliocentrica: “Aristarco di Samo ... giunge alla conclusione che la dimensione del mondo sia molto maggiore di quella affermata sopra. Egli ritiene che le stelle immobili e il Sole non alterano la loro posizione nello spazio, che la Terra si muove intorno al Sole con una traiettoria circolare e che il centro della sfera stellare coincide con quella del Sole, considerando che le sue dimensioni sono così grandi che la circonferenza che egli crede sia la traiettoria della Terra, si trova nella stessa proporzione con la distanza delle stelle immobili, come il centro della sfera lo è con la sua superficie” ([395], pagina 34).
Questo punto di vista è praticamente identico a quello di Copernico. In realtà, quella che sentiamo è la voce degli scienziati che vissero nel XVI-XVII secolo d.C. Inoltre, si ritiene che “l'antico” Aristarco fosse a conoscenza del valore effettivo del diametro angolare della Luna.
Aristotele aveva condotto delle misurazioni della Terra come una sfera. La dimensione della Terra venne successivamente calcolata con maggiore precisione da Eratostene, che visse nel presunto 276-194 avanti Cristo. Si ritiene che l'errore commesso da Eratostene fosse pari a un mero 1,3%. Un'altra supposizione fu che Eratostene avesse calcolato l'angolo tra l'eclittica e l'equatore, che affermò essere uguale a 23° 51'. È interessante notare che l'Almagesto di Tolomeo riporta proprio questo valore (vedere il Capitolo 8 del presente libro). Come abbiamo già sottolineato, il valore della declinazione dell'angolo dell'eclittica consente una stima più precisa della possibile data di compilazione dell'Almagesto.
In [280], S. V. Zhitomirskiy eseguì una ricostruzione del modello cosmologico ideato dal “antico” Archimede, utilizzando come base i dati numerici forniti da quest'ultimo. Secondo I. A. Klimishin, “Il lettore si trova di fronte a un elegante modello cosmologico geo/eliocentrico dove Mercurio, Venere e Marte ruotano attorno al Sole, che li accompagna nella loro rotazione attorno alla Terra, proprio come fanno Giove e Saturno. I valori del raggio relativo di Mercurio, Venere e Marte corrispondono abbastanza bene con i loro valori effettivi” ([395], pagina 38). Archimede creò uno “strumento che si muoveva autonomamente”: il “globo celeste” meccanico utilizzato per dimostrare le condizioni di visibilità dei luminari, così come le eclissi solari e lunari. Tutta questa ricerca è molto probabile che in realtà risalga al XV-XVI secolo e che poi fu trasposta in epoche immemorabili dalla cronologia di Scaligero.
L'antico Cicerone sottolineò che “la sfera solida senza cavità venne inventata molto tempo fa; la prima di queste sfere fu realizzata da Talete di Mileto, mentre la successiva da Eudosso di Cnido, che veniva considerato l'apprendista di Platone, il quale gli disegnò sopra le posizioni celesti delle stelle e delle costellazioni ... Molti anni dopo, Arato ... scrisse dei versi sulla costruzione di questa sfera con sopra la posizione dei luminari, che prese in prestito da Eudosso ... L'invenzione di Archimede è sorprendente proprio per il fatto che ideò un metodo per preservare le traiettorie eterogenee dei diversi moti risultanti da un'unica rivoluzione. Non appena Gallo mise in moto questa sfera di bronzo, la Luna cambiò posizione con il Sole, proprio come capita tante volte in cielo, per cui nel cielo della sfera si videro delle specie di eclissi con la Luna che veniva oscurata dall'ombra della Terra” ([948], pagina 14).
Si dice che una cosmosfera del genere sia stata costruita da Posidonio, già dopo Archimede. Secondo Cicerone, “se qualcuno prendesse la sfera (sphaera) che il nostro amico Posidonio ha fatto di recente per la Scizia o la Bretagna, con le sue singole rotazioni che riproducono i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti in giorni e notti diversi, qualsiasi abitante di questi paesi barbari potrebbe dubitare che questa sfera sia la creazione di una mente perfetta?” ([951], pagina 129).
Non si può fare a meno di ricordare l'epoca del XVI-XVII secolo, quando Tycho Brahe fu uno dei primi a costruire una famosa cosmosfera, che i suoi contemporanei credevano essere un miracolo dell'arte e della scienza. Pertanto, è molto probabile che “l'antico” Cicerone abbia scritto le sue opere nel XV-XVII secolo d.C. e descritto i risultati spettacolari ai suoi contemporanei.
Al giorno d'oggi si crede che uno dei più grandi meriti dell'astronomia greca sia stato lo sviluppo del punto di vista matematico riguardo i fenomeni celesti. Furono introdotte anche le sfere di rotazione come elementi relativi alla geometria sferica e alla trigonometria, ecc. “Sono sopravvissuti sino ai nostri giorni numerosi trattati minori e libri di riferimento, scritti per la maggior parte durante il periodo alessandrino, concernenti la disciplina scientifica sopra menzionata (nota come sferica o scienza delle sfere); un eccellente esempio di queste opere sono I Fenomeni del famoso matematico Euclide (300 a.C. circa)” ([65], pagina 46). Ad Apollonio di Perga, che visse nella seconda metà del III secolo a.C., fu attribuita la scoperta che i moti dei corpi celesti possono essere rappresentati da una combinazione di moti circolari uniformi, con maggiore facilità rispetto alle sfere rotanti di Eudosso e della sua scuola ([65], pagina 49).
L'opinione consensuale è che l'astronomia “antica” abbia iniziato a trasformarsi in una scienza naturale a causa delle fatiche di Ipparco, che si dice sia vissuto nel presunto 185-125 a.C. “Ipparco fu il primo a condurre delle osservazioni astronomiche sistematiche e ad eseguire un'analisi matematica esaustiva dei dati risultanti. Sviluppò la teoria del moto solare e lunare e il metodo di previsione delle eclissi con un margine di tolleranza di 1-2 ore, ponendo anche le basi dell'astronomia sferica e della trigonometria” ([395], pagina 43). Ipparco introdusse la distinzione tra l'anno stellare e l'anno tropicale, e scoprì il fenomeno della precessione, il moto del punto dell'equinozio di primavera verso il Sole lungo l'eclittica. 169 anni prima di Ipparco, gli astronomi Aristillo e Timocaride registrarono le posizioni di 18 stelle. Ipparco utilizzò i loro dati per calcolare l'effetto della precessione ([395], pagine 43-44). Ipparco compilò anche un catalogo stellare contenente 850 voci, indicando per ogni stella le coordinate dell'eclittica e la magnitudine. Secondo l'opinione consensuale dei nostri giorni, “le costellazioni menzionate da Ipparco sono praticamente identiche alle costellazioni di Eudosso. Se non tenessimo conto di un certo numero di nuove costellazioni dell'emisfero australe, sconosciute alle nazioni civilizzate del mondo antico, i loro elenchi avrebbero subito pochissime modifiche fino ad oggi” ([65], pagina 56).
Jean-Baptiste Delambre (1749-1822), studioso francese di storia dell'astronomia, nella sua Histoire de l'Astronomie Ancienne scrisse quanto segue su Ipparco: “Una volta che si considera tutto ciò che è stato inventato o perfezionato da Ipparco e si medita sul numero delle sue opere e sul volume dei calcoli che contengono, non si può non definirlo come uno degli uomini più sorprendenti dei tempi antichi, se non il più grande di tutti” ([65], pagina 63). Tuttavia, la nostra principale fonte di informazioni sulle opere di Ipparco è l'Almagesto di Tolomeo. L'unica opera superstite di Ipparco è il commento al poema di Arato e alla sua fonte (l'opera di Eudosso).
Si ritiene che le conquiste degli “antichi” astronomi si siano ripetute dopo molti secoli di stagnazione e declino da parte degli astronomi medievali dell'epoca rinascimentale. Il livello della conoscenza astronomica nella società “antica” era così alto che si è riflesso in una varietà di aspetti del tutto estranei alla scienza. Ad esempio, alcuni “antichi” tribuni militari dell'esercito regolare romano erano in grado, in buona fede, di tenere delle lezioni scientifiche sulla teoria delle eclissi lunari alle loro truppe. Questo è ciò che apprendiamo dall'eminente storico “antico” Tito Livio. Il quinto decennio della sua Ab urbe condita contiene la descrizione incredibilmente precisa di un'eclissi lunare. “Gaio Sulpicio Gallo, un tribuno militare della seconda legione ... radunò le sue truppe con il permesso del console e dichiarò che la Luna sarebbe scomparsa dal cielo tra la seconda e la quarta ora della notte seguente, e che nessuno doveva prenderlo come un presagio ... Si tratta ... di un evento normale, conforme alle leggi della natura e che avviene a tempo debito. Dopo tutto, non sorprende nessuno che in certe notti la Luna sia un disco radioso, mentre quando cala diventa una mezzaluna sottile, dal momento che i luminari si alzano e si dispongono in modo regolare. Nemmeno il fatto che la luna venga oscurata dall'ombra della Terra dovrebbe essere considerato un miracolo.” ([482], XLIV, 37; anche [483], pagine 513-514).
Oggi ci viene detto che quella lezione coinvolgente, che abbiamo riportato solo parzialmente, fu tenuta alle legioni di ferro della Roma “antica”, circa 2000 anni prima della nostra epoca (vedere Ginzel [1154], pagine 190-191, n. 27) Chiunque abbia familiarità con la storia della scienza rimane molto più colpito da questa “lezione per gli antichi soldati”, se si considera il prossimo intervallo temporale, vale a dire il periodo medievale tra il presunto II secolo d.C. e il X secolo d.C. nella storia dell'astronomia di Scaligero.